domenica | by Stefano Reves S. | , , ,


L'Arte dello Scrivere

Bisogna ricordare anche questo. Se un uomo scrive con sufficiente chiarezza, chiunque può vedere se imbroglia. Se la sua mistificazione ha lo scopo di evitare una frase precisa, il che è molto diverso dall’ infrangere le cosiddette regole sintattiche o grammaticali per raggiungere un effetto che non si può ottenere diversamente, ci vuol più tempo a capire che lo scrittore è un imbroglione, e gli altri scrittori afflitti dalla sua stessa necessità lo lodano per difendere se stessi. Il vero misticismo non dovrebbe venir confuso con l’incompetenza a scrivere, che cerca di mistificare dove non c’è alcun mistero ma soltanto la necessità d’ imbrogliare per mascherare la mancanza di sapere o l’incapacità a esprimersi chiaramente. Il misticismo implica un mistero e i misteri sono molti; ma l’incompetenza non è un mistero, e nemmeno, è mistero il giornalismo enfatico reso letteratura dall’ iniezione di una falsa qualità epica. Ricordate anche questo: tutti i cattivi scrittori sono innamorati dell’ epica.

Quando scrive un romanzo, uno scrittore dovrebbe creare gente viva; gente, non personaggi. Un personaggio è una caricatura. […] Se la gente che lo scrittore sta creando parla di vecchi maestri; di musica; di pittura moderna; di letteratura; di scienza; allora dovrebbero parlare di questi argomenti nel romanzo. Se non parlano di questi argomenti e lo scrittore li fa parlare, è un mistificatore, e se ne parla lui stesso per mostrare come la sa lunga, si da delle arie. Per buona che sia una frase o una similitudine, se la mette dove non è assolutamente necessaria e insostituibile rovina il suo lavoro per egotismo La prosa è architettura, non decorazione d’interni, ed il Barocco è finito. Che uno scrittore metta le proprie meditazioni intellettuali che potrebbe vendere a basso prezzo come saggi, in bocca a personaggi costruiti artificialmente che sono rimunerativi se presentati in un romanzo come persone, questo è forse un buon principio economico, ma non costituisce letteratura. […] Un buono scrittore dovrebbe conoscere tutto il più possibile. Ma naturalmente non avviene così. Uno scrittore abbastanza grande sembra fornito di conoscenza congenita. Ma non è vero, egli è nato soltanto con l’abilità di imparare più rapidamente degli altri uomini e senza applicazione cosciente, e con l’intelligenza di accettare o respingere ciò che è già presentato come conoscenza. Ci sono cose che non si possono imparare in fretta e il tempo, che è tutto quanto noi possediamo, dev’essere pagato caro per raggiungerle.[…] Ogni romanzo scritto sul serio contribuisce alla cultura totale che è lì a disposizione del prossimo scrittore.[…] Se un prosatore sa bene di che cosa sta scrivendo, può omettere le cose che sa, e il lettore, se lo scrittore scrive abbastanza verità, può avere la sensazione di esse con la stessa forza che se lo scrittore le avesse descritte. […] Uno scrittore che omette le cose perché non le conosce, non fa che lasciare dei vuoti nel suo scritto. Uno scrittore che prende così poco sul serio lo scrivere da essere ansioso di far vedere alla gente come è accademico, colto o ben educato, è un semplice pappagallo. E anche questo va ricordato: uno scrittore serio non va confuso con uno scrittore solenne. Uno scrittore serio può essere un falco o un bozzagro o magari un pappagallo, ma uno scrittore solenne è sempre un gufo della malora.

Ernest Hemingway, Death in the Afternoon (cap. V, XVI)


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giovedì | by Stefano Reves S.


No, non dovevamo andarcene dall' Iraq!!!

Dall'Iraq Study Group (il panel dei 10 saggi dei due partiti creato dal Congresso), presentato ieri: «La situazione è grave e si sta deteriorando... e se continua a peggiorare c'è il rischio di uno scivolamento verso il caos, che potrebbe portare al collasso del governo iracheno e a una catastrofe umanitaria. I Paesi vicini potrebbero intervenire. La statura globale degli Stati Uniti potrebbe essere ridotta. E (qui ci sarebbe da discutere, nda) gli americani potrebbero diventare più polarizzati.

Allora perché? Perché ce ne siamo andati!? Proprio ora che il nostro contributo sarebbe più che mai necessario. Ora che la morte dei nostri soldati e civili in quel derelitto paese, acquisirebbe una briciola di sensatezza. Ora che sì!, potremmo parlare di eroi, di valori veri.
No!, la scelta di ritirare le truppe a fine 2006, presente nel programma di tutte e due le coalizioni, oggi, con questi documenti, dimostra solo una cosa. Che quella beota invasione ha sempre e solo avuto un fine, un medesimo significato: nessuno.
Nel frattempo i nostri politici e Generali vagabondeggiano per reti nazionali, ripetendo nauseabondi discorsi stonati sulla solidità del nuovo esercito iracheno, sui successi di quello italiano. Sul nulla.


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martedì | by Stefano Reves S.


Sulla piazza

- "Quando sento le cose dette in piazza dai sindacati, capisco come nascevano le purghe staliniane".
(Silvio Berlusconi dopo la manifestazione sindacale contro la riforma delle pensioni annunciata dal suo primo governo, 23 novembre 1994).

- "Tre milioni di lavoratori sono scesi in piazza contro la finanziaria? Io penso a quei 20 milioni di lavoratori che sono rimasti a casa".
(Silvio Berlusconi, 15 ottobre 1994)

- "I 700 mila - perché non erano di più - della manifestazione dell'altro giorno non sapevano che i colpi di piazza sono contro la democrazia. Certo, c'era tanta gente che faceva una scampagnata per il semplice motivo che è stato loro offerto un viaggio gratis, la colazione gratis. Oppure sono venuti a Roma per visitare i musei la domenica pomeriggio".
(Silvio Berlusconi, dopo la manifestazione di 3 milioni di lavoratori indetta dalla Cgil di Sergio Cofferati al Circo Massimo a Roma contro la riforma dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, 26 marzo 2002).

Pè ridere
- Berlusconi ha portato 2 milioni di persone in piazza... e molte di più in mezzo a una strada.

- e allora? Per la festa della Roma eravamo 4 Milioni, ma che dico, 6.

Interviste illuminanti
Perché manifesti? (il giornalista rivolgendosi ad una ragazzina presente nel corteo)
-"questo governo ha meffo folo taffe."
-"Quale tassa, in particolare, non ti piace?"
-"Bè ...veramente...non fo... io fono ancora una ftudenteffa..."

Lei invece?
- Me figgiu a 36 anne e' angore disoccupate,
e me lo tebba tenero a casa!
- Perchè, nei cinque anni che c'era berlusconi lavorava?
- E che cendra? Proti se n'adda jì!
Voliamo ca cummanna Perluscone!.

Quale tassa non le piace?
- Quanto nastro avete? (risposta).


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lunedì | by Stefano Reves S.


Libertà e Banane

La Libertà, ovvia, di marciare e di difendere se stessi. Il proprio egoista, corrotto e faziosissimo punto di vista. Libertà bellissima.
Poi soltanto, tante, divertentissime, banane. Banana lo sfondo del grande palco allestito. ‘‘Contro il Regime’’. Contro quel Governo flebile e permissivo, tipico Regime. Banane i discorsi sull’unità di coalizione, distante solo 1000 Km. Banana la lunga bandiera dell’ ''Ungheria'' trasportata da AN a bordopalco. Dove c’erano i soliti a cantare l' inno di Mameli, ed altrettanti soliti a fischiarlo. Banane i discorsi preconcetti, anacronistici, e contraddittori. Tutti. Vuoti di opinioni. Con tanti NO, e senza una sola frase atta a giustificare o motivare tanto andirivieni. Perché avrebbe dovuto essere contro la finanziaria, non una reprimenda per le elezioni perse. Saranno pure 1 Mil…, no 2, anzi 3 Milioni!!!, nessuno di loro ha osato chiedere il rimborso spese. Banane.


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| by Stefano Reves S.


Ottimo, diversamente non potrebbe essere, il seguente articolo di Dacia Maraini. Resta da chiedersi perché l'accanimento terapeutico, di cui anche Welby ''usufruisce'', sia ancora Legge, nonostante numerosissimi NO, incluso quello della Chiesa.
Un atto di libertà per Welby di Dacia Maraini

Si può amare la vita e chiedere la morte, come fa Piergiorgio Welby in una lettera al presidente della Repubblica? Sembrerebbe una contraddizione, ma se a quelle parole ne aggiungiamo altre che dicono: io amo la vita ma proprio perché la amo non posso accettare di tirare avanti in queste condizioni di sofferenza e di menomazione, sappiamo che non è più una contraddizione ma una dichiarazione legittima.
La vita è degna di essere vissuta ma in condizioni ritenute dignitose da chi se la porta addosso. La domanda di solito a questo punto è: ma chi stabilisce quali siano i limiti della dignità per un malato che è messo nella condizione di non potere muovere una mano, di non potere parlare con la persona amata, di non potere bere da solo un bicchiere d'acqua? La risposta logica sarebbe: il malato stesso. Ma spesso i protagonisti del dolore o della malattia, da noi, non hanno potere di decisione.
È una vecchia eredità cattolica che ci portiamo dietro da secoli: l'uomo, secondo la Chiesa, ha bisogno di una tutela morale che lo accompagni dalla culla alla bara. La tutela naturalmente poi si trasforma in controllo, religioso, culturale e psicologico. Non si crede che l'individuo abbia la possibilità di decidere in coscienza e con responsabilità del suo destino.
Oggi Piergiorgio Welby, con la sua pacifica e umile richiesta (vedi i servizi nelle Cronache), ci mette drammaticamente davanti a un tema che ci tocca tutti da vicino: quali sono i confini fra la vita e la morte in tempi di accanimento terapeutico, in tempi di macchine che pompano artificialmente il sangue, soffiano meccanicamente l'ossigeno, tenendo in vita persone che in altri tempi sarebbero morte di morte naturale? Ci sono casi di individui in coma che continuano a vivere per anni e anni. Il regista spagnolo Almodóvar ne ha fatto addirittura un film: una ragazza in coma viene messa incinta da un infermiere. Lo sguardo del regista non è moralistico, non condanna né l'infermiere, né coloro che si accaniscono a tenere in vita un corpo che sta più di là che di qua. Mapure i segnali della vita ci sono e come trascurarli? In quel caso la ragazza non ha parole e non può dire se preferisce morire o vivere alla mercè degli altri.
Nel nostro caso la persona è consapevole e forse per questo fa una strana impressione pensare di acconsentire alla sua tenace domanda di estinzione. Eppure si può immaginare che sempre di più andremo incontro a situazioni di questo genere, perché la scienza diventa ogni giorno più esperta e ardimentosa, i medici più abili e le macchine più capaci. È solo il corpo umano che non muta. O per lo meno non muta come vorrebbero i medici e le macchine dell'immortalità.Uncorpo è un corpo, con le sue miserie, le sue inettitudini, i suoi limiti e la sua profonda capacità di sofferenza. Un corpo andrebbe ascoltato oltre che curato. I medici sono ormai talmente specializzati che non riescono a vedere l'insieme della persona, intenti come sono a curare il particolare che è stato loro affidato. Può darsi che il cuore continui a pulsare, i polmoni a respirare,mala persona stia talmente male da non desiderare più restare al mondopur amandola vita, come dice Welby.
La legge italiana non prevede l'eutanasia. Non perché la società nel suo insieme abbia discusso e preso una decisione collettiva, ma per soggezione alla Chiesa che a sua volta proibisce l'eutanasia per ragioni di principio. Le ragioni di principio però sono sempre astratte e brutali, non tengono conto dei cambiamenti, dei casi specifici, delle persone singole. Accanto a Welby c'è Marco Pannella che oltre a tenergli affettuosamente compagnia chiede al Parlamento una discussione immediata su questo grande atto di libertà. Alcuni gli danno ragione, ma i tempi sono lunghi e intanto la sofferenza continua. Riusciremoancora una volta ad emanciparci da una delle tante tutele, per rendere la persona responsabile della sua vita?


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