venerdì | by Stefano Reves S.


Il Bastone del Maestro

Tamudo: Maestro, non anelo altro, se non la felicità. Tutti i miei sforzi sono convogliati verso il suo conseguimento. Ma dimmi, quando avrò conseguito l'illuminazione, solo allora sarò felice?
Maestro: No figliolo. Quando avrai conseguito l'illuminazione, allora sarai libero dal bisogno di essere felice.


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mercoledì | by Stefano Reves S. | , , ,


La ''proposta'' Cei

''Un documento meditato e impegnativo per i Cattolici'', ''una parola meditata, ufficiale, che sia impegnativa per coloro che accolgono il magistero della Chiesa e che possa essere chiarificatrice per tutti''. Non usa mezzi termini, ne mezze misure, il Pontefice durante l’ultimo Simposio promosso dalla Pontificia Università Lateranense. Un ‘’Convegno sulla legge naturale’’, resosi necessario in seguito alle continue minacce che <il relativismo applicato a un campo come l'etica finisce per portare con sé>. <Soprattutto tra i giovani crea un senso di disorientamento che rende precarie e incerte le scelte della vita di ogni giorno>. Ora, la pugnacia con cui il Vaticano irrompe nel dibattito pubblico non disturberebbe nessuno, ne tantomeno il sottoscritto, se l’obbiettivo del messaggio fosse l’ individuale autorità morale. E’invece evidente che il reale campo di battaglia scelto dalla Sacra Sede è un altro. Investe direttamente le due Camere. Imponendo a tutti i deputati di dichiarata fede Cattolica l’obbligo di non promuovere un emendamento, visto come primo passo verso la violazione di quella che è <una legge eterna e immutabile>. Così la definiva ieri il Vescovo Amato.
A questo punto è importante ricordare che un qualsiasi Deputato, al momento di ogni scelta parlamentare debba tener conto, prima ancora delle proprie convinzioni morali, della ''necessità di perseguire la felicità comune''. Una ''felicità'' che non coincide necessariamente con il pensiero Sacerdotale. Ne è definibile ''relativismo etico'' se al suddetto pensiero non è chiamata ad omologarsi.
Insomma, il punto è sempre lo stesso. Un conto è chiedere ad un cittadino di uniformare il proprio comportamento ad un determinato Credo, tutt’altra cosa è pretendere che uno Stato uniformi ad esso le proprie Leggi.


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| by Stefano Reves S. | , ,


L'ultimo ''Pirata'', l'ennesima Fiction

Premessa: Pantani è stato un grande. Un grande campione. Forse come uomo, meno immenso, ma pur sempre un grande. Abbastanza da permettermi di definirlo l’ultimo grande. L’ultimo uomo normale, l’ultimo ad aver accolto con naturalezza un mestiere critico, il Ciclista. Oggi visto, accettato come un fardello, condivisibile solo da una esigua schiera di eletti. Infaticabili e vigorosi eroi.
Sicuramente il germe del professionismo, quello con le copertine patinate, e del merchandising, quello in cui i nostri beniamini sono imbottigliamenti di estathè che pedalano, che sudano, si affaticano per il prossimo super ingaggio, per ottenere un posto nella Top-list degli sportivi più pagati secondo Sports illustrated, c’era già questo professionismo quando lui montava in sella. Egli stesso ha guadagnato tanto. Ma c’è qualcosa dal quale il richiamo della pecunia non è mai riuscito a dissuaderlo: le grandi scalate, sempre più irte, e perigliose. Non le avrebbe mai svendute per nulla al mondo.
Dunque il Pirata sarebbe personaggio ideale per una fiction. Un perfetto uomo d’altri tempi che non si accoda al decadimento di una delle più antiche tradizioni sportive d’Italia. Certamente la più nobile. Un vero eroe. Da incensare, di cui cantare lodi eterne. Soggetto su cui innalzare l’ennesimo monumento alla perfezione umana. Insomma, una perfetta storia da mistificare appieno. Ed in questo compito Rai Fiction ha ben pochi rivali (blockbuster?).
Ora, non voglio dire che sia stato sbagliato fare un film su Pantani.Un uomo raro. Ma pur sempre un uomo. In grado di cogliere strepitosi successi, e di essere implicato in vicende molto meno straordinarie.
Dunque che senso ha questo post? Se prima deifico il personaggio, e poi lo faccio ripiombare alla sua fredda condizione naturale. Forse nessuno. O forse è un vano tentativo di togliere i salamini dagli occhi delle fiction. Le ‘’grandi fiction’’. Quelle non rendono mai dignità ad un uomo. Casomai lo privano.


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sabato | by Stefano Reves S. | ,


Delitto!, Castigo?

Dopo l'ennesima schifezza calcistica
Tutti a casa oggi. Meglio, nessuno allo stadio. Non ci sarà l’ennesimo fine settimana sonnolente tra gli invitanti scranni di salotto, niente compagnia di impietose vivande, niente avventori sbraitanti al bar, niente sport ai tg –ah, ah, niente calcio, oggi inizia il 6 nazioni. Non si farà nulla di ciò che avevamo pianificato mentalmente già dal giovedì, magari gongolati dall'immenso godimento per il nuovo Tv Lcd 40''. Nessuna tradizione ''sportiva'' da conservare, usanza stantia che si ripeteva da fine settembre, e che si riproponeva da chissà quanti anni. Nonostante bottiglie, monetine, coltelli, bengala, missili, motorini, e chissà quanto altro pattume proiettato in campo negli ultimi tempi. Nonostante Moggi, e le telefonate, ed i ‘’giustizialismi’’. Nonostante tutto questo ieri eravamo già li, con il cuore recalcitranti, ansiosi per il prossimo fischi d’inizio. Ma per fortuna – perché chiamarla così? È morto un uomo, per caso- Per caso oggi e domani non sarà così. E speriamo non sarà così per un bel po’ di tempo.
Basta a ‘’segnali’’, a ‘’messaggi’’ , a ‘’provvedimenti’’ ‘’forti’’. Ora esigiamo soluzioni. Riunirsi attorno ad un desco è ciò che è sempre stato fatto, e che probabilmente si farà anche questa volta e… e niente. E' il momento di abbandonare il fioretto di quel populismo che ha sempre rinunciato ad ogni tentativo di risoluzione concreto - il calcio è fucina di voti e danari troppo importante per rischiare di inficiarlo nella sua attuale figura puzzolente – questa è ora di impugnare la clava. Che rivolta, che distrugge, che annienta e zittisce un mondo che non ha mai avuto ragione. Tabula rasa. Banale, e concreta. Gravosa e realizzabile. Unico rimedio.


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giovedì | by Stefano Reves S. | , , , ,


Memoria, vergogna di L. Coen

15 luglio 1938. Viene pubblicato il “Manifesto della razza”, preambolo e pietra miliare delle leggi razziali firmate il 17 novembre dello stesso anno da Vittorio Emanuele III. Lo sottoscrivono dieci scienziati italiani, in verità accademici di modesto calibro. Sono: Lino Businco (medico patologo), Lidio Cipriani (antropologo), Arturo Donaggio (neuropsichiatra), Leone Franzi (pediatra), Guido Landra (antropologo), Nicola Pende (patologo), Marcello Ricci (zoologo), Franco Savorgnan (demografo), Sbato Visco (fisiologo e biologo), Edoardo Zavattari (zoologo). Altre 330 personalità aderirono al Manifesto. Lo scrittore Franco Cuomo - autore del saggio “I Dieci” (Baldini castoldi Dalai editore, 2005, 14,50 Euro) - lo ha definito il “primo censimento ufficiale dei razzisti italiani”. Questa sintesi dottrinaria del fascismo razzista viene presentata al Duce. In verità, è solo una manfrina. Tutto era già stato concordato. Al regime occorreva un pretesto pseudoscientifico per motivare la persecuzione e la spoliazione di una comunità di 43mila cittadini di religione ebraica. Dopo la guerra, i dieci e i loro seguaci la scamparono, protetti da chissà quali connivenze: per essi vi fu totale impunità. Qualcuno motivò la sua adesione al Manifesto adducendo il risibile pretesto che lo fece per convenienza, o che era troppo giovane (quando fa comodo, avere diciotto o vent’anni significa non discernere il bene dal male…). Furono moralmente responsabili della deportazione e i massacri degli ebrei italiani giustificarono con l’autorevolezza del “sapiente” le violenze, i soprusi e le umiliazioni che la loro comunità dovette subire. Conservarono tutto, onori e prebende, incarichi e arroganza. Uno di loro, il giurista Gaetano Azzariti divenne nel 1957 presidente della Corte Costituzionale. Aveva presieduto l’infame Tribunale della Razza. Un altro fu Amintore Fanfani. Un terzo, padre Agostino Gemelli. Evito di trascrivere la lista degli altri. Suggerisco che digitiate su Google “Manifesto della razza” e “Leggi razziali”. Ambiguità, silenzi, omissioni: questa la cifra della memoria, e della vergogna.


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