venerdì | by Stefano Reves S.



Un casus belli noto e risaputo

La cosiddetta “guerra del gas” fra Russia ed Ucraina non è un fulmine a ciel sereno: si tratta dell’eruzione più che prevedibile di un vulcano che borbottava da tempo, a patto di saperne avvertite il brontolio.
La questione tocca solo marginalmente il mercato del gas, giacché il conto che la Russia desidera saldare è un altro, ovvero la “deriva” verso Occidente dell’Ucraina.
Il paese – bisogna precisare – non segue in modo omogeneo le scelte della leadership di destra capeggiata da Yuschenko, giacché l’Ucraina ha due anime: ad ovest, si scontano ancora i frutti del perverso accordo Ribbentrop – Molotov del 1939, che consegnò la città polacca di Leopoli (Lviv) all’URSS. Ad est, invece, nel grande bacino carbonifero del Donbass, i minatori sono filo-russi e dichiaratamente ostili alle aperture verso occidente di Yuschenko.
C’è il rischio di una spaccatura nel paese? C’è stato, ma oggi non è più all’ordine del giorno, vista la poca fiducia che oramai godono nella popolazione Yushenko e la sua “rivoluzione arancione”.
La mossa russa è giunta ad un anno dalle elezioni, con un tempismo perfetto, ovvero quando le fortune politiche degli “arancioni” sono in calo, e mentre è massimo il bisogno di gas per un paese che non ha sufficienti riserve energetiche sul suo territorio.
La questione – se vogliamo – è di una semplicità disarmante: se l’Ucraina desidera entrare in Europa e nella NATO – portando le basi aeree USA sul confine russo – perché non può pagare il gas come gli occidentali 200$ per 1.000 metri cubi invece di 50, un prezzo di favore che la Russia applicava a Kiev in cambio della neutralità politica?
I tempi scelti da Mosca sembrano far parte di una strategia complessiva: nel bel mezzo del rigido inverno delle steppe è difficile sostenere una trattativa ad oltranza, c’è il rischio di arrivare alla meta congelati. Inoltre, se i negoziati fallissero, fra un paio di mesi inizierebbe la stagione nella quale si aprono le cosiddette “finestre” per l’aviazione, ovvero giornate che già permettono le operazioni aeree.
Se si considera che notizie non confermate – ma plausibili – raccontano di due divisioni corazzate russe già disposte sul confine ucraino, si può capire che se non verrà trovato un accordo (nel quale Mosca non può perdere, giacché il posizionamento della NATO ai suoi confini è da sempre inaccettabile per il Cremlino) si andrà verso foschi futuri, dei quali il metano è solo una secondaria comparsa, rispetto allo scenario che va delineandosi in Europa Centrale.
D’altro canto, proprio noi di Malatempora avevamo lanciato l’allarme nel lontano 2003, ricordando che l’Ucraina, la Bielorussia – e soprattutto l’enclave russa di Kaliningrad – rappresentano la miccia di una situazione esplosiva, una miccia che si trova ad un migliaio di chilometri da Milano. Ma a raccontarlo – come sempre – siamo in pochi: meglio lasciarsi imbonire dalle rassicurazioni dell’ENI e di Scajola.
Di Carlo Bertani


2 Responses to “ ”

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  1. Nicolò says:

    Nel mio blog ho postato un intervento simile al tuo(http://svolte-epocali.blogspot.com/), la mia fonte è www.resistenze.org, diversamente dal soltio tu non ti riferisci a nessuna fonte, vorrei sapere qual'è. Se questo mio intervento ti interessa puoi andare a leggere sul blog la mia opinione, se pensi che sia pubblicità gratuita cancellami pure. Spero in una tua risposta

  2. Nicolo come puoi vedere in basso ho citato l'autore dell'articolo: Carlo Bertani. Insieme collaboriamo, io sporadicamente, presso la casa editrice Malatempora.